Facciamo un esperimento: proviamo a liberare la mente dalle immagini hollywoodiane costellate da robot malvagi pronti a dominare il mondo o da macchine assolutamente innocue e altrettanto assolutamente indipendenti e superiori per intelligenza agli uomini.
La realtà in cui ci muoviamo è ancora ben diversa dagli scenari che siamo in grado di immaginare quando si parla di innovazione tecnologica.
Quelli tra noi più preoccupati dall’avanzata delle tecnologie intelligenti possono tirare un sospiro di sollievo, perché ciò che si prospetta all’orizzonte delle relazioni uomo-macchina non è certo una completa débâcle del genere umano, bensì un universo votato alla collaborazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale.
Benvenuti nel missing middle
Affrontiamo subito la questione più spinosa: l’intelligenza artificiale ci porterà via il lavoro?
La risposta a questa domanda è: dipende.
Non possiamo negare infatti che i lavori più ripetitivi e semplici subiranno una progressiva e totale automazione.
Ma non dobbiamo dimenticare che ciò avverrà di pari passo con la nascita di nuove professioni che richiederanno un apporto qualitativo tipicamente umano, in aggiunta al fatto che il vero punto di forza della tecnologia sta nella sua capacità di amplificare, non certo di sostituire, le capacità umane – capacità da cui dipendono pur sempre la sua esistenza e il suo funzionamento.
Per affrontare positivamente l’evoluzione in atto bisogna compiere un passo fondamentale, che consiste in un cambio di prospettiva: da quella oppositivo-sostitutiva, che delinea un futuro distopico di lotta tra umanità e macchine, a quella collaborativo-sinergica, che vede nella tecnologia intelligente un efficace strumento per garantire agli individui maggiori competenze e la possibilità di ottenere risultati migliori imparando più rapidamente.
Siamo tutti i benvenuti, allora, in quello che Paul Daugherty e Jim Wilson – autori del libro "Human+Machine. Reimagining work in the age of AI" – chiamano “missing middle”, ovvero quello spazio finora non troppo esplorato in cui uomini e macchine collaborano per l’ottimizzazione delle attività aziendali, operando ciascuno nel campo in cui può raggiungere i risultati migliori: gli uomini in ambito di sviluppo, formazione e gestione delle applicazioni di intelligenza artificiale, le macchine in ambito di analisi ed elaborazione in real time dei dati disponibili – che, come tutti ormai sappiamo, crescono continuamente a ritmi esponenziali.
Si scrive IA, si legge intelligenza aumentata
Il compito principale per ogni azienda è perciò quello di ripensare i rapporti uomo-macchina, i concetti tradizionali di gestione e di lavoro, valutando la creazione di nuove figure professionali.
Stime recenti attestano infatti che entro il 2020 circa il 35% delle attuali core skill sarà soggetto a cambiamento, e questa previsione ci fa intuire quanto sia fondamentale dimostrare e sviluppare adattabilità e disponibilità ad apprendere in un contesto caratterizzato da cambiamento e volatilità costanti.
Attualmente, inoltre, solo nel 5% dei casi è possibile un’automazione completa, mentre il 60% delle attività lavorative risulta automatizzabile solo al 30%.
L’intelligenza artificiale offre un’occasione preziosa per ripensare i processi e i modelli di business tradizionali tornando a focalizzare l’attenzione sulle competenze e le abilità umane – relazionali ed empatiche in primis – da sviluppare e potenziare alla luce delle crescenti possibilità di automazione, valorizzando le qualità peculiari dell’uomo e liberando le persone dai processi di meccanizzazione e strumentalizzazione finora dominanti, arrivando a creare una umanità aumentata, in cui sia restituito ai singoli il ruolo centrale di esseri pensanti e creativi.
La collaborazione con le macchine, infine, porta benefici non solo per i lavoratori – sgravandoli delle attività più ripetitive, rischiose e a minor valore aggiunto – ma anche per i clienti, attivando servizi e assistenza 24/7, personalizzati, rapidi ed efficienti.
Collaborare per valorizzare lo human touch
Come emerso anche durante il workshop “Dall’interazione alla collaborazione – Intelligenza artificiale e intelligenza umana: come cambiano le relazioni professionali?”, organizzato lo scorso maggio da HEI Human Experience Insights, le soluzioni e le applicazioni di intelligenza artificiale sono le più svariate, ma tutte ci indicano chiaramente che il futuro porterà con sé una collaborazione sempre più stretta tra uomo e macchine, in grado di sviluppare un’intelligenza aumentata frutto proprio della capacità di questi due soggetti di trarre reciproco beneficio dalle rispettive qualità e abilità.
Il cambiamento culturale che attende le aziende di ogni settore va quindi nella direzione di un’unione tra le soft skill appannaggio degli esseri umani e l’instancabile potenza di calcolo propria delle macchine intelligenti.
Il compito principale per ogni azienda è perciò quello di ripensare i rapporti uomo-macchina, i concetti tradizionali di gestione e di lavoro, valutando la creazione di nuove figure professionali.
Stime recenti attestano infatti che entro il 2020 circa il 35% delle attuali core skill sarà soggetto a cambiamento, e questa previsione ci fa intuire quanto sia fondamentale dimostrare e sviluppare adattabilità e disponibilità ad apprendere in un contesto caratterizzato da cambiamento e volatilità costanti.