Professioni del futuro, tra digitalizzazione e sostenibilità

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Già oggi, buona parte delle persone, svolgono professioni che i propri genitori non avrebbero neanche potuto immaginare. Chi avrebbe potuto pensare negli anni settanta e ottanta che i loro figli sarebbero diventati community manager, sviluppatori java o il digital project manager?

Secondo stime del World Economic Forum, il 65% dei bambini che frequentano oggi le scuole elementari svolgeranno lavori che oggi non esistono ancora e che forse nemmeno siamo in grado di prevedere.
Ciò che è altrettanto certo è che alcune professioni attuali sono destinate a scomparire gradualmente, soppiantate da servizi digitali, dalla robotica e da macchine dotate di intelligenza artificiale; tutto ciò implicherà un nuovo approccio al mondo del lavoro e, ancor di più, a tutto quel mondo legato alla formazione, educazione e sviluppo delle competenze.
Il futuro, dunque, ha in serbo per noi nuovi e complessi scenari: sicuramente il dirompente impatto tecnologico, demografico e socio-economico si farà sentire sui modelli lavorativi e occupazionali, di reclutamento dei talenti e sulla loro formazione e gestione.
Ormai da diversi mesi viene citato il dato presentato dal report del WEF che prevede entro il 2020 un saldo netto dell’occupazione globale negativo di oltre 5,1 milioni di posti di lavoro.

Ma saranno proprio le nuove professioni che ci faranno uscire dalla crisi occupazionale e che entro il 2025 faranno tornare positivo il saldo occupazionale italiano: questo è quello che prevede InTribe, società specializzata in studiare nuovi trend che aiutano le imprese a competere e che verrà presentato il prossimo 23 marzo in occasione del convegno “Le professioni del futuro” che si terrà presso Confcommercio Milano e che presenterà le oltre 100 nuove professioni o evoluzioni di professioni attuali, che saranno le richieste nel nuovo mondo del lavoro.

Secondo le previsioni di InTribe, il potenziale di crescita di posti di lavoro in ambito ICT, comunicazione, servizi, green economy, turismo e formazione è enorme. Le professioni del futuro saranno molto più interessanti rispetto ai lavori che stiamo cedendo alle macchine, anche se in molti non sono pronti ad affrontare i nuovi scenari lavorativi che stanno già cominciando a delinearsi in questi anni. Come fare allora per essere competitivi?
È fondamentale affrontare la 4° rivoluzione industriale prevedendo e anticipandone gli impatti anzichè aspettare di vedere cosa succederà.


LA SEPARAZIONE DELLE COMPETENZE

Un dato interessante rilevato durante l’indagine sulle Professioni del Futuro realizzata da InTribe riguarda le competenze richieste, che saranno sempre più specifiche e di alto profilo. In questo scenario scomparirà, il lavoratore medio con scarsa expertise specialistica e uno stipendio di medio livello.
Più in generale, nel mercato europeo ci sarà un graduale spostamento verso l’alto: in pratica tenderanno a ridursi i mestieri di basso profilo, molti dei quali verranno svolti sempre più da remoto e in altri Stati (come già accaduto nel primo decennio del terzo millennio con la delocalizzazione dei call centre).
La specializzazione sta diventando sempre più imprescindibile e titoli di studio come laurea e master (soprattutto in ambito STEM) garantiranno maggiori e migliori opportunità di lavoro. Chi non li avrà dovrà specializzarsi e acquisire competenze sempre più specifiche, sia sul campo, sia attraverso corsi di aggiornamento.


LA NOTIZIA POSITIVA

Secondo i dati di Oxford Economic, in Europa la rivoluzione tecnologica avrà un impatto tangibile su 54 milioni di persone fra Francia, Germania, Spagna, Inghilterra e Italia. Questo dirompente impatto sulle nostre vite non può non riflettersi in ambito lavorativo: all’orizzonte s’intravedono molte nuove professioni legate ai nuovi bisogni.
Inoltre, l’European Centre for the Development of Vocational training (Cedefop) dell’Unione europea, stima che da oggi al 2025 circa 46 milioni di opportunità di lavoro (su un totale di 107 milioni) saranno lavori altamente qualificati, ovvero con una preparazione alle spalle che è di livello universitario o fortemente specializzata.
La vera sfida dei mercati più avanzati sarà garantirsi le migliori competenze. I primi frutti arriveranno già nei prossimi cinque anni soprattutto per quei paesi che sapranno creare strumenti di apprendimento delle competenze utili ad affrontare il lavoro di domani, formando i giovani e chi ancora dovrà lavorare per molti anni.


L’INSIDIA: SCARSA COMPETENZA DIGITALE E DIGITAL MISMATCH

Spesso pensiamo che il concetto di “nativo digitale” vada di pari passo con quello di “competenza digitale”: in Italia non è ancora affatto così. Basti pensare che nel 2016, tra i giovani adulti di età compresa tra i 25 e 34 anni, solo il 41% ha usato (in modo basico) un foglio elettronico vs media EU28 del 50% e solo il 29% lo ha utilizzato in modo avanzato per organizzare e analizzare i dati (ordinamento, filtri, formule, grafici…) contro il 34% della media europea.
La mancanza di competenze specifiche e avanzate ha generato il fenomeno, che si è affermato soprattutto nell’istruzione italiana, denominato Digital Mismatch: le persone in cerca di lavoro spesso non sono in grado di rispondere ai requisiti e alle competenze tecnologiche e digitali sempre più necessarie alle aziende.
Nonostante i livelli di disoccupazione da record, continua a essere difficile per le aziende trovare le professionalità giuste da inserire, ad esempio, nel settore ICT, che presto acquisterà un’accezione più ampia del mero “tecnico dei computer” che abbiamo in mente oggi (professione, anzi, destinata a contrarsi sempre di più).
Le previsioni della Comunità Europea (2014-2020) stimano una crescita costante di posti di lavoro nel settore ICT, mediamente 112.000 all'anno fino al 2020. Questi però potrebbero essere oltre 750.000 in più se non fosse per la mancanza di competenze richieste. Il gap tra domanda e offerta di competenze ICT in Italia è stimato in 135.000 posti di lavoro nel 2020.
Questo dato è ancora più significativo, se si pensa che la necessità di competenze digitali sarà indispensabile per quasi tutti i posti di lavoro, anche quelli in cui l’ICT ha occupato un posto complementare nelle attività esistenti. Opportunità di lavoro in settori come l'ingegneria, la contabilità, l’assistenza infermieristica, la medicina, l'arte, l'architettura, l’agricoltura, la cultura e molti altri stanno già iniziando a richiedere l'aumento dei livelli di competenze digitali.


LIVELLO DI SCOLARIZZAZIONE E LAUREE STEM

In Italia solo il 60% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma di scuola secondaria superiore, al quart’ultimo posto e ben al di sotto della media UE28 (76%).
Se poi osserviamo i dati relativi al raggiungimento almeno del livello 5 dello standard ISCED (corrisponde alla laurea e alla laurea magistrale) in Italia si è raggiunta nel 2015 una percentuale del 17,6 nella fascia d’età 25-64 anni (vs 30,1 media EU28; penultimo posto); se riduciamo la fascia età al range 25-34 anni la situazione è decisamente preoccupante: 25,2% vs media EU28 del 37,9% e triste ultimo posto.
La Comunità Europea ha elaborato un indice (DESI: Digital Economy and Society Index) per valutare stato di avanzamento degli Stati membri dell'UE verso un'economia e una società digitali.
Uno dei parametri presi in considerazione è l’incidenza delle lauree STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) cioè i corsi di laurea scientifici. Queste lauree sono quelle che daranno i maggiori sbocchi professionali: ben pagati, creativi e originali. In Europa, saranno circa 2.300.000 i posti di lavoro disponibili solo nel campo delle scienze e dell'ingegneria, e alcuni di questi sono davvero stimolanti.
Ma i corsi di laurea STEM, soprattutto in Italia, vengono scartati perché ritenuti troppo difficili e noiosi.
L’Italia è drammaticamente indietro rispetto agli altri paesi europei: nel 2014 solo l’1,36% della popolazione tra i 20 e 29 anni possedeva una Laurea scientifica, contro una media europea dell’1,87%.
Dall’indagine sulle Professioni del Futuro realizzata da InTribe appare evidente come le attuali competenze professionali ricercate siano ben diverse dalle competenze future e queste ultime sono le quelle che dobbiamo insegnare agli studenti di oggi.

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