“Diversity is good for business”

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Stuart Milk a COPERNICO Torino spiega il valore della diversità

Promuovere la diversità negli ambienti di lavoro non (solo) perché sia la cosa giusta da fare, ma perché è nel proprio interesse, nell’ottica della crescita di un business. Questo è stato il cuore del messaggio di Stuart Milk, che ha partecipato all’incontro Diversity Management. Il valore della diversità, ieri, nell’elegante cornice dello storico palazzo L’Oréal di Torino che oggi ospita i nuovi spazi di COPERNICO.

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“Se osserviamo quali sono state le attività che hanno resistito meglio alla recessione negli Stati Uniti, scopriremo che sono quelle con maggiore diversità”, racconta Stuart Milk, consigliere di Barack Obama, oltre che nipote del leader americano per i diritti civili Harvey Milk e presidente della Fondazione che porta il suo nome. “Il messaggio più forte” continua Milk, “è quello che fa capire che discriminando una persona perché gay o donna o di colore, si perde un potenziale talento che avrebbe contribuito alla crescita del business, anche attraverso un proficuo confronto e scambio di idee”. Del resto, la creazione di comunità inclusive è ciò che sta alla base di concept come quello di COPERNICO, nati con l’ottica di promuovere la collaborazione, l’interazione, il confronto costruttivo e produttivo. “Spazi come questo” – commenta l’attivista americano impegnato nella difesa dei diritti umani e Lgbt – “sono di grande importanza perché mettono fianco a fianco lavoratori con background diversi – non solo in termini di professione, ma di cultura, di esperienze vissute anche nel personale, favorendo così l’integrazione e aiutando le persone a capire che non devono nascondersi perché diverse, anzi: la loro diversità può essere, se vogliono, un valore aggiunto”.

 

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E proprio il valore della diversità inizia ad essere apprezzato ai vertici delle aziende grandi e piccole, che sempre di più abbracciano politiche di Diversity Management (DM), ovvero quell’insieme di norme, pratiche e azioni che hanno l’obiettivo di valorizzare le diversità negli ambienti di lavoro. Dove per diversità si intende il genere, l’età, l’orientamento sessuale, l’etnia, la disabilità, i carichi familiari, ecc. Basti pensare, ad esempio, che quasi tutte le società elencate nel Fortune100 supportano politiche di questo tipo.

Nato negli Stati Uniti circa 30 anni fa, il DM ha raggiunto anche in Europa tassi di adozione importanti: già nel 2014 erano più di 7000 le aziende dell’Unione Europea ad aver firmato la Diversity Charter, il documento che delinea i punti salienti dell’impegno nella promozione della diversità e delle pari opportunità sul posto di lavoro.

 

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E in Italia?

Stando ai dati raccolti nel 2016 dal Diversity Management Lab, centro di competenza di SDA Bocconi che dal 1999 studia il tema della gestione della diversità all’interno delle organizzazioni italiane, c’è ancora molto lavoro da fare: solo il 21% delle imprese intervistate dichiara di adottare politiche per la diversità. Sono in particolare le donne e le persone appartenenti alla comunità Lgbt a risultare svantaggiate nei processi di assunzione e di promozione. Se si considera, ad esempio, la probabilità di assunzione e di avanzamento di carriera, tra gli uomini giovani la probabilità di essere assunti si colloca intorno a un valore medio di 6,06 (in una scala da 1 a 7), mentre scende a 5,35 se omosessuali. Per le donne, in media intorno al 5,56, mentre scende al 5,28 per le donne omosessuali. “Maschio, giovane, senza figli, italiano, in buona salute, etero”: per la maggior parte delle aziende rimane questa purtroppo la descrizione del candidato ideale da assumere e da promuovere, nella lucida analisi fatta da Bettina Gehrke, Professore Associato presso il Diversity Management Lab.

 

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C’è tanto lavoro da fare, quindi, ma siamo sulla strada giusta. Sempre in Italia, infatti, esiste uno strumento di benchmarking dedicato alle politiche e alle pratiche aziendali rivolte ai dipendenti Lgbt: è l’Lgbt diversity index ideato e realizzato dall'associazione Parks, che misura l’impegno delle aziende nell’ambito dell’inclusione delle persone Lgbt sul posto di lavoro. Inoltre, negli ultimi anni il tema del DM ha incominciato a suscitare interesse, catalizzando l’attenzione attraverso una serie di eventi come quello organizzato da COPERNICO o, ancora, quello tenutosi a Palazzo Marino, a Milano, promosso dalla British Chamber of Commerce for Italy e UPS, da cui è emerso come la diversità sia un vero vantaggio competitivo per le aziende.

 

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Anche nel Bel Paese, insomma, sembra farsi strada l’idea che le politiche di DM abbiano un impatto positivo sulla crescita economica di una nazione. Anche da noi l’ago della bilancia si sta spostando da un discorso che punta tutto sull’eticità a un discorso in cui si sente il peso pratico dell’opportunità da cogliere: come sottolineato da Stuart Milk, scegliere l’inclusione è vantaggioso in termini strategici e di competitività. Il pregiudizio sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere può essere un ostacolo al reclutamento e alla promozione del candidato più qualificato: “diversity”, appunto, “is good for business”.

Elisa Giuliana

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